
Quest’anno non ho potuto fare vacanze lunghe né eccessivamente spensierate (so già che arriverò alle vacanze di Natale strisciando sui gomiti…!) però, incredibilmente, tra uno scatolone e l’altro sono riuscita a fare un salto di tre giorni in Francia. Un Paese che adoro.
Durante la mia vacanza di circa 48 ore (al netto del viaggio di andata e ritorno in auto), sono riuscita a vedere il centro storico di Antibes e Grasse (museo dei profumi e laboratorio con i profumieri di Fragonard compresi!) e, soprattutto, ho praticato tantissimo il francese. Un’ostinazione linguistica la mia che mi ha condotta verso una riflessione linguistica (e un’idea per far imparare il lessico ai nostri studenti!)…
Come dicevo…
Durante la mia breve vacanza in Francia non ho resistito alla tentazione di parlare francese con chiunque incontrassi: camerieri, proprietari di B&B, avventori, commercianti… Nessuno escluso. A chiunque mi trovassi davanti, ho chiesto quale fosse la spiaggia più vicina, ho chiesto consiglio su un buon piatto vegetariano (pochissimi) e mi sono informata sulla storia di alcune famose fragranze del marchio di profumeria francese.
Ma soprattutto, ho chiesto il nome di molti, moltissimi oggetti che non riuscivo a nominare… Non esagero se dico che credo di aver pronunciato più di una decina di volte la frase “Comment ça se dit en français?”.
E quelle parole (prima sconosciute o conosciute e poi dimenticate con gli anni) ho iniziato a usarle tutte nelle conversazioni successive, con la stessa persona o con un’altra. Tutto il giorno e in tutti quei tre giorni.
A seguito delle mie domande, ho sempre potuto apprezzare la disponibilità del mio interlocutore che, oltre ad avere offerto la traduzione migliore nella sua lingua madre, spesso mi ha elencato eccezioni, iperonimi e iponimi vestendo i panni di docente improvvisato con grande gentilezza e simpatia.
Da quelle mie spesso bizzarre richieste sono poi nate fugaci chiacchierate, sorrisi e qualche risata… Grazie a quegli scambi, le parole che ho imparato resteranno a lungo nella mia memoria.
Cosa ho imparato dalla mia breve vacanza e cosa posso insegnare ai miei alunni…
Da questa mia esperienza personale sono nati una riflessione e un esercizio facilissimo che, al mio ritorno, ho subito proposto ai miei studenti di italiano per stranieri: chiedere ai loro interlocutori, anche nel bel mezzo di una conversazione, le parole che non conoscono e che impediscono loro di esprimersi come vorrebbero. Fare domande senza aver paura di non sapere e non aver paura di chiedere ancora, nel dubbio.
A seguito di questa mia riflessione, da qualche giorno, sto salutando i miei studenti a fine lezione lasciando loro un compito per il week end: chiedere ai loro interlocutori italiani il significato o la traduzione in italiano di una parola a loro sconosciuta… E indovinate? Hanno fatto i compiti!
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